giovedì 25 giugno 2009

videochiamami

copia e incolla da ilmessaggero.it

di Mauro Evangelisti
«Ma io il telefonino lo uso solo per telefonare...». Ecco, chi un po' snob
ripete questa frasetta, dovrebbe riflettere su quanto sta succedendo a
Teheran. Andare su Twitter e rileggersi le centinaia di messaggi che contengono il nome di Neda, la ragazza di sedici anni uccisa durante le proteste in Iran, icona terribile di questa rivolta. Dovrebbe aprire la pagina di Facebook del leader dell'opposizione che rivendica la vittoria, Mousavi. Ha detto ai giovani che sfidano la repressione e protestano scattando foto con i telefonini, riprendendo con telecamere digitali, inviando messaggi quando è possibile al mondo: «Today you are the media», voi oggi siete i media, avete il dovere di comunicare al mondo quanto sta succedendo. Mousavi ha anche scritto: «...forze armate contro telefoni cellulari, clave contro le lacrime, bugie contro le telecamere, televisione di stato contro Twitter, proiettili contro Facebook...».

Non è certo la prima rivolta, la prima protesta, non sono i primi giovani che sfidano il potere le cui armi sono soprattutto la comunicazione, la possibilità di fermare immagini con telefonini o telecamere poco costose, la relativa semplicità, malgrado la censura, di mettere in rete questo materiale. Ma in modo così sistematico ci sono pochi precedenti.

Questa marea di informazioni e immagini rilanciata sul web ha un punto debole, può essere contaminata, avvelenata perché se è incontrollata è allo stesso tempo libera ma anche a rischio di inattendibilità. Non solo: i telefonini con fotocamera sono in mano a chi si ribella, ma allo stesso modo la tecnologia può essere utilizzata dal potere, dal regime.

Su internet viaggia una petizione che chiede di boicottare la grande casa produttrice di cellulari che ha fornito il sistema allo stato iraniano per controllare e interrompere le comunicazioni via telefonino e mail. E' tutto molto complicato. Ma non dite che il telefonino lo usate solo per telefonare.

giovedì 18 giugno 2009

romanzo kriminal

copia e incolla da ilmessaggero.it

di Mauro Evangelisti
Un tempo se la presero anche con Aquila della Notte e Diabolik. Rovinano
la nostra gioventù, dicevano. Poi venne il tempo dei pugni di Bud Spencer
e Terence Hill che incitavano alla violenza. E perfino delle crociate contro i cartoni animati giapponesi (orrore, sono fatti con il computer, dicevano i benpensanti naïf di allora, a ripensarci oggi fanno tenerezza). E ancora Dylan Dog. O Trainspotting trasmesso in televisione, vale a dire il bellissimo film del regista che qualche anno dopo avrebbe diretto Slumdog Millionaire.

In ogni decennio si è trovato un diavolo da additare come possibile fonte di perdizione dei giovani. A quanto pare nessun mafioso ha scelto Cosa nostra dopo avere letto Diabolik, nessun ventenne è entrato nelle Brigate Rosse perché da bambino aveva sfogliato Tex contro Mefisto e sembra improbabile che i fiumi di cocaina che scorrono nei salotti buoni italiani siano stati ispirati da Trainspotting trasmesso in tv.

Eppure, anche oggi si continua la caccia: Gianni Alemanno, sindaco di Roma, dunque uno dei quattro o cinque politici più importanti d’Italia, ha sentenziato che l’aumento della violenza giovanile ha connessioni con il successo della fiction di Romanzo criminale. Ci crede talmente tanto in questa influenza nefasta della serie tratta dal libro di De Cataldo a sua volta ispirato alla Banda della Magliana, che ha incaricato un istituto di ricerca, nel corso di un sondaggio, di chiederlo ai romani. E - ma che sorpresa - la maggioranza dei romani ha detto sì, sono d’accordo, ora che mi ci fai pensare mi accorgo che c’è una connessione fra il successo della fiction di Romanzo criminale e l’aumento degli episodi di violenza giovanile. Peccato che quella fiction non possa essere nei fatti un fenomeno di massa.

E’ stata trasmessa da Sky (e non da Mediaset) e, per quanto diffusa, la tv a pagamento in un consistente numero di case di italiani e romani non è ancora entrata. Molte famiglie non se la possono permettere. E allora, tutta questa esplosione di violenza giovanile? Sicuramente qualche adolescente deve avere trovato nelle cantine le vecchie collezioni di Satanik del padre.

sabato 13 giugno 2009

papi gheddafi

cosa avrebbero detto quelli del centrodestra a prodi se avesse riservato a fidel castro un decimo degli onori che ha avuto gheddafi? Altro che i valori della democrazia e della libertà tutte balle contano solo soldi e geopolitica

kill bill - ultimo atto

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di Mauro Evangelisti
Non ancora è chiaro se è Hollywood che copia la realtá o la realtá che
copia Hollywood. La trama è perfetta: un anziano ed affermato attore
americano di film d'azione viene trovato morto nella stanza di un hotel della caotica capitale di un paese asiatico, dove la leggenda vuole fioriscano peccati e lati oscuri. La polizia locale, che a torto o a ragione non è famosa per essere incorruttibile, non ha dubbi: la causa della morte è un pericoloso gioco di autoerotismo a base di corde e nodi nei punti sbagliati. O semplicemente e stato un suicidio.

Ma ecco i colpi di scena: i familiari dell'anziano e affermato attore americano morto ritengono che sia stato ammazzato da una setta segreta di kung fu sulla quale stava indagando. Non solo: c'è anche un esorcista locale che ritiene che a uccidere l'attore sia stato nientemeno che il fantasma di Bruce Lee.

Intanto, l'Fbi vorrebbe indagare, ma le autoritá del paese asiatico con orgoglio rifiutano la collaborazione. Fin qui la realtá, la morte di David Carradine in Thailandia. Carradine oltre a essere stato l'interprete del telefilm Kung Fu che a colpi di repliche negli anni Novanta riempiva i palinsesti delle tv private era il Bill di Kill Bill.

Proprio Quentin Tarantino sarebbe perfetto per proseguire la storia e ricavarci un film, con l'immancabile agente dell'Fbi - un Matt Demon o un Nicolas Cage - che arriva a Bangkok per indagare, un poliziotto thailandese che malvolentieri collabora, misteri, sparatorie, inseguimenti, colpi di scena. Ma il grosso della sceneggiatura questa volta l'ha scritto davvero la realtá.

sivergognite dance

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di Mauro Evangelisti
ROMA (4 giugno) - C’è un virus che si aggira per l’Italia. Si chiama sivergognite. Che cos’è? Sempre più spesso, in un dibattito pubblico, in un confronto televisivo, in un battibecco, in una litigata alle Poste si termina la frase con un solenne «si vergogni». Poco contano gli argomenti, il ragionamento, il tentativo di convincere l’avversario che sta sbagliando, che lui ha torto e io ho ragione. No, si butta là un «si vergogni» e così si ritiene di avere sparato il fuoco d’artificio, ottenuto l’effetto, la ola del pubblico, l’applauso. Un caso memorabile è il poderoso «si vergogni» pronunciato dal ministro Bondi a Ballarò due settimane fa, ma esempi altrettanto rotondi potrebbero essere trovati anche nel centro sinistra. Eppure, quel «si vergogni» sembra tanto il sussulto dei bambini che si arrabbiano, che invece di ragionare tagliano corto con «cattivo!» e tanto basta. Ma loro sono bambini.

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