mercoledì 10 dicembre 2014

i corti che escono su move magazine 20/ la mia vita stupefacente

di Mauro Evangelisti

La mia vita stupefacente

Aveva undici anni. Una sera vide il padre scusarsi con il direttore della banca in cui lavorava. Si erano incontrati per caso, in un bar, e il direttore lo aveva rimproverato, sia pure bonariamente, per un errore commesso in ufficio. «Nulla di grave, Giovanni, però la prossima volta faccia più attenzione, la prego». «Ha ragione direttore, la mia è stata una leggerezza ingiustificabile. Non succederà più». La cosa si esaurì in poche decine di secondi, il padre e il direttore parlarono di calcio, del tempo, dei figli che crescono e si erano salutati. Ma a Giampiero era rimasta impressa, indelebile, l’immagine del padre mortificato, del padre che dava del lei al direttore, del direttore che invece gli dava del tu. Non disse niente a suo padre, che con lui commentò «fa il burbero, ma è un bravo cristo, ce ne fossero di capi come lui».
Per una settimana ripensò a quanto era successo. E poi prese la decisione. «Se a quarant’anni non sarò diventato una persona importante, mi toglierò la vita. Accetterò la sconfitta e la farò finita. Non proseguirò una vita mediocre. Non avrebbe senso». Ecco, sarebbe stato normale se tutto fosse finito lì, se si fosse rivelata come una frase stupida di un ragazzino immaturo, un proponimento che uno dimentica o a cui ripensa con un sorriso. Ma per Giampiero non fu così. Più passavano gli anni, più quella promessa a se stesso si alimentava, si definiva nei contorni, prendeva forma, come uno schizzo a matita che viene ripassato con un pennarello. In quella decisione Giampiero trovava energia per essere il migliore al liceo, per studiare sei ore al giorno, per affrontare l’università con caparbietà tanto da laurearsi con 110 e lode in Economia a 23 anni. Fu subito assunto da una multinazionale, fu mandato a Hong Kong a fare esperienza nel settore bancario, ebbe un incarico di notevole responsabilità, a soli 28 anni, alla borsa di Londra. Due anni dopo, però, in un meeting organizzato dalla sua compagnia a Lanzarote, si accorse che la grande sala convegni dell’hotel era piena di giovani come lui, che avevano raggiunto risultati formidabili. Come lui. «No, così non uscirò dalla mediocrità». La sera stessa scrisse la lettera di dimissioni. Con i soldi che aveva accumulato, la liquidazione e la piccola eredità ricevuta dal padre in un anno creò una nuova compagnia e lanciò una catena di caffetterie alla moda, con il wi-fi e una presa ad ogni tavolino per ricaricare i cellulari e i tablet. La chiamò Coffee Four.
Inizialmente fu un successo, dopo tre anni aveva già quattordici locali in sei regioni italiane differenti, ma era indebitato con le banche. E soprattutto, in fondo, erano solo caffetterie. Accettò l’offerta di una multinazionale e vendette la catena di Coffee Four, limi-tando le perdite, ma riducendo comunque il capitale iniziale. Il giorno del trentacinquesimo compleanno lo trascorse in un hotel con tre prostitute. Non aveva mai pagato per il sesso, ma si sentiva molto triste e decise di farsi un regalo che ovviamente lo lasciò più vuoto di prima. Mancava solo un lustro al suo quarantesimo compleanno e la promessa che aveva fatto a se stesso, a undici anni, era ancora scolpita nella sua anima e per nulla al mondo l’avrebbe cancellata. Decise che aveva sbagliato obiettivo, che non erano l’economia o il business i territori in cui avrebbe trovato il sentiero per uscire dalla mediocrità. No, avrebbe scritto un libro. Ecco la strada. Tornò a Lanzarote, affittò una villetta per un anno e si chiuse dentro a scrivere, sette ore al giorno, la parabola di un ragazzo che parte dal nulla, raggiunge il successo, poi perde tutto travolto dalla droga e dall’ansia di avere sempre di più. Non era una storia molto originale, ma era ben scritta, con ritmo e linguaggio innovativo.
“La mia vita stupefacente” era il titolo. A una casa editrice di medie dimensioni piacque, perché – spiegò l’editor – poteva diventare un romanzo generazionale. Giampiero firmò il contratto, ma dovette aspettare un anno prima dell’uscita del libro. Il romanzo non andò male, vendette settemila copie, alla casa editrice furono contenti e gli chiesero di scrivere in fretta un seguito. Ma restò comunque un libro di nicchia, che fece disperdere il nome dell’autore tra migliaia e migliaia di volumi presenti nelle librerie. Quando Giampiero lo capì, mancavano pochi giorni al quarantesimo compleanno. Fu invitato a una festa della sua casa editrice, ma dimenticò l’invito e non lo fecero entrare. Nessuno lo riconobbe. Non insistette. Tornando a casa, capì che il tempo a disposizione era finito. Salì sul tetto del palazzo e si lasciò cadere nel vuoto. Mentre precipitava vide – o gli sembrò di vedere – da una finestra una ragazza con la felpa con il logo della multinazionale in cui lavorava a Londra e in mano una tazza con il brand di Coffee Four, immersa nella lettura di “La mia vita stupefacente”. Per pochi attimi fu felice.

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